Quando si parla di addominoplastica e di diastasi addominale, non si può non citare l’intervento di REPA. Per questo, abbiamo deciso di intervistare il Dott. Salvatore Cuccomarino, uno dei chirurghi più esperti in questo campo.
Leggi l’articolo per scoprire che cos’è l’intervento REPA, come si contraddistingue dall’addominoplastica tradizionale e altre curiosità inerenti.
Che cosa significa REPA e qual è la differenza con l’addominoplastica tradizionale?
La sigla REPA significa “Riparazione Endoscopica Pre-Aponeurotica” ed indica le due caratteristiche tecniche principali della tecnica: il fatto che sia “endoscopica” e non laparoscopica, il che significa che noi non entriamo con i nostri strumenti nella cavità addominale e non posizioniamo reti dentro l’addome (pratica oggi sconsigliata da tutte le linee guida, per le complicanze a lungo termine che possono dare le reti intraddominali, come perforazioni, erosioni, occlusioni intestinali eccetera).
Il termine “preaponeurotica” indica la posizione della rete: si tratta di una tecnica descritta da un Chirurgo francese, Chevrel, alla fine degli anni ’70 del secolo scorso e da allora molto usata in tutto il mondo. Le differenze con l’addominoplastica sono moltissime:
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la nostra tecnica prevede tre minime incisioni sovrapubiche, due da 5 mm ed una da 12 mm, contro l’enorme taglio dell’addominoplastica;
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non espone ai classici rischi vascolari dell’addominoplastica, quindi per esempio al rischio di necrosi dell’ombelico;
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prevede il rinforzo della parete addominale con una speciale rete, il che ci consente di ridurre al minimo le recidive (mentre le recidive della diastasi dopo addominoplastica sono riportate fino al 40%);
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permette, grazie alla sua mininvasività, un recupero molto rapido del paziente e non lo obbliga a assumere posizioni innaturali, come quella di flessione anteriore dell’addominoplastica;
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il dolore postoperatorio è minimo ed il ritorno alle proprie attività (anche sportive) rapidissimo.
L’intervento di REPA cura anche l’estetica dell’addome?
La REPA nasce come chirurgia funzionale, cioè orientata a curare in maniera mininvasiva tutti i sintomi correlati alla diastasi dei retti (lombalgia, reflusso, incontinenza urinaria eccetera). All’inizio tutti noi eravamo un po’ scettici sui suoi risvolti “cosmetici”: in particolare ci preoccupava la possibilità della “pelle in eccesso” post-operatoria. Col tempo, e con nostro stupore, ci siamo accorti che in realtà la cute si rimodella perfettamente sulla parete addominale ricostruita (a meno che non sia una cute molto rovinata, povera di collagene e fibre elastiche): ciò si deve in parte alle proprietà elastiche della pelle, ed in parte, a quanto risulta da recentissime comunicazioni congressuali, al fatto che durante l’intervento noi di fatto sottoponiamo la cute delle pazienti ad una intensa e massiccia carbossiterapia.
Per creare lo spazio di lavoro, infatti, si utilizza l’anidride carbonica, la quale resta a contatto per circa due ore e ad alte pressioni e volumi con il derma delle pazienti: ciò provocherebbe, nel postoperatorio, una sorta di “restringimento cutaneo” che rimodella la pelle. Di fatto, oggi l’unica indicazione ancora valida per l’addominoplastica in caso di diastasi è la presenza di un grembiule adiposo che la paziente voglia eliminare; negli altri casi l’addominoplastica per il trattamento della diastasi è una cattiva indicazione chirurgica.
Perché se ne parla come “chirurgia gentile”?
Si dice che la REPA è una “chirurgia gentile” proprio per la sua minima invasività, il poco dolore, le minime complicanze post-operatorie ed il rapido ritorno alle proprie attività: insomma, la REPA è una chirurgia che rispetta al massimo l’integrità fisica delle pazienti.
L’intervento si può eseguire in day-hospital o la paziente deve essere ricoverata?
È necessaria una notte di ricovero, anche se stiamo mettendo a punto delle tecniche di analgesia postoperatoria che probabilmente ci consentiranno, in un prossimo futuro, di dimettere le pazienti lo stesso giorno dell’intervento.
C’è una massima larghezza di diastasi che si può correggere con REPA?
La risposta a questa domanda, se si vuole essere rigorosi da un punto di vista scientifico, è IN TEORIA sì. Dico in teoria perché finora ho operato diastasi fino a 24 cm, con ottimi risultati postoperatori – si tratta, credo, della diastasi più grande mai operata per via mininvasiva. Il “segreto”, come sempre, è valutare attentamente il paziente prima dell’intervento e prepararlo bene per la chirurgia. Per esempio, nel caso della diastasi di 24 cm, la paziente è stata trattata pre-operatoriamente con tossina botulinica, in modo che i suoi muscoli fossero ben flaccidi al momento dell’intervento: ciò ci ha consentito di portare a termine la chirurgia senza problemi e con grande soddisfazione della paziente. Anche in questo siamo stati i primi in Italia.
Dopo l’intervento deve essere indossato un indumento compressivo? Se sì, perché?
La compressione postoperatoria, che noi realizziamo con guaina elastica e pad addominale, è fondamentale. I motivi sono diversi: intanto, la guaina mette a riposo e fornisce un sostegno alla muscolatura addominale; il pad contribuisce a distribuire adeguatamente ed uniformemente su tutta la parete anterolaterale dell’addome la pressione della guaina; la guaina consente di ridurre gli “spazi morti” postoperatori, e quindi l’incidenza di quella che è l’unica complicanza (fortunatamente poco frequente) di questa chirurgia, ovvero la formazione di sieromi.
In conclusione, la REPA emerge come un'opzione chirurgica avanzata e rispettosa, differenziandosi dall'addominoplastica tradizionale per la sua minima invasività e numerosi benefici. L’utilizzo di indumenti compressivi post-operatori si rivela cruciale per supportare la muscolatura addominale e ridurre il rischio di complicanze come i sieromi.
Se hai ancora domande, puoi contattare il dott. Salvatore Cuccomarino e i suoi collaboratori!